Toc toc, Magnolia!
Giunta sulla soglia della Casetta nel Bosco, finalmente arrivata davanti alla famosissima Casa della Nonna, una capanna isolata e separata dal resto del villaggio per chissà quale motivo, sperduta in quella topografia confusa che tutti noi conserviamo nel nostro immaginario, quando finalmente è lì, con il suo cestino in mano e i suoi zoccoletti ai piedi, Cappuccetto Rosso, naturalmente, BUSSA ALLA PORTA.
Oltre alla scena centrale della fiaba, quella che potremmo intitolare “Che occhi grandi che hai”, non esiste altro punto della storia così carico di tensione quanto quel TOC TOC sull’uscio, niente, zero assoluto.
Neppure lo spavento del primo incontro con il Lupo, quando la ragazzina esce dal sentiero, può competere con la strizza che tutti sentiamo con quel bussare sulla porta di legno.
Perché quella Porta è una Soglia Magica.
Perché è proprio lì che c’è un prima e un dopo, è quello il confine -carico e magnetico- che segna un di qua e un di là.
“Vieni avanti, Cappuccetto”, dice allora il Lupo con la sua grottesca voce artefatta.
Non in tutte le versioni la Porta è aperta, socchiusa e facile da oltrepassare.
Il Lupo spesso dà istruzioni:
“Tira fuori il piolo, il chiavistello si solleverà”.
“Tira la corda, e il fermo in alto si staccherà”.
Le varianti sono tantissime. Nel frattempo, Cappuccetto Rosso è ferma lì come un broccolo, impacciata e novizia: santo cielo, ma come si farà mai ad entrare con la nonna fuori uso?
In una delle versioni più antiche, il Lupo-travestito-da-Nonna le dice:
“Vieni avanti Cappuccetto, chìnati, accùcciati, ed entra dalla porticina del gatto dove è appena passata la gallina nera. Ma passa con i piedi: una volta passati i piedi, passerà anche il resto”.
Ta-dah, è fatta.
Siamo finalmente entrati negli arcani misteri delle fiabe antiche. Siamo ora nel regno dei simboli inconsci: la nascita podalica, infatti, era un chiaro collegamento con il mondo dei morti.
Non aprite quel cancello, non oltrepassate il limite, rimanete al di qua della siepe, il giardino segreto, evitate la stanza segreta di Barbablù, “Ariel, non salire in superficie!”: tutti gli istmi e gli imeni delle fiabe, tutte le COLONNE D’ERCOLE della nostra psiche e del nostro corpo, hanno un’energia incredibile perché RAPPRESENTANO DELLE INIZIAZIONI.
Sulla MEMBRANA FOSFOLIPIDICA delle nostre cellule ci sono dei cancelli e dei ponti levatoi, al cospetto dei quali Sir Pilade de La Spada nella Roccia deve suonare il corno per entrare. Sono i nostri RECETTORI DI MEMBRANA.
“Pilade! Sono Sir Pilade, Sir Pilade! Porto grandi notizie da Londra, sensazionali!”.
Ogni nostro vissuto, ogni nostra impressione del mondo, ogni trauma, ogni cibo, ogni sogno, ogni incontro, ogni frase, arriva ai nostri cancelli recettoriali come un affannato Sir Pilade a cavallo.
Continuamente. Incessantemente. Migliaia di cavalieri-messaggeri al minuto.
E le nostre cellule devono srotolare e metabolizzare ogni singolo messaggio-pergamena.
Sta di fatto che quando le brutte notizie del vivere hanno ingolfato le nostre esperienze e le nostre memorie, ogni messaggero che arriva, sotto la pioggia o col bel tempo che sia, è mal visto.
Quando lo stress che stiamo vivendo è eccessivo, quando siamo sempre tirati, quando le buone annunciazioni è da qualche secolo che scarseggiano, quei benedetti recettori continueranno a comunicare al nucleo delle nostre cellule che siamo in pericolo e che è meglio stare in allerta costante.
Viviamo nel continuo, angosciante presentimento che sarebbe meglio non aprire la porta della casa della nonna.
I PONTI LEVATOI NON VENGONO ABBASSATI.
E va a finire che i recettori si bloccano e Sir Pilade se ne va.
Va a finire che i nutrienti del cestino di Cappuccetto Rosso non entrano.
Va a finire che, così facendo, per precauzione eccessiva, bloccherò ad uno ad uno tutti i sentieri del mio bosco psichico, gelificando la matrice extracellulare di tutto l’organismo invece di lasciarla fluida e cristallina, intasandola di placche aterosclerotiche, tossine, scorie, radicali liberi, musi lunghi e perenni smorfie di delusione.
Il metabolismo, a poco a poco, rallenta, sempre di più, sempre di più. E poi, ad un certo punto, si fermerà.
Per iniziare a sciogliere “L’ANSIA ANTICIPATORIA CRONICA DI DISGRAZIE IMMINENTI CHE PERÒ MAI SI CONCRETIZZANO” una pianta eccezionale è la MAGNOLIA.
Albero testimone dei giochi d’infanzia, albero materno, rassicurante, calmante, imponente, dall’estetica soave, dal profumo che sembra un canto di donna, la sua efficacia terapeutica nell’ANSIA e nella DEPRESSIONE LEGGERA è quasi commovente.
Non potremo mai lavorare sull’attivazione del metabolismo corporeo se prima non sciogliamo il nodo d’ansia che lo ha bloccato.
Provate a dire a qualcuno che soffre di insonnia grave che per dormire deve rilassarsi, e sentirete la più giusta scarica di insulti che mai abbiate ricevuto.
Non possiamo risolvere le paure irrazionali, nostre o di un paziente, con la logica. No, non è possibile, non si può. NON SI DEVE.
Funziona, invece, che PRIMA DI TUTTO dobbiamo abbassarci, chinarci e infilarci CON I PIEDI nella porticina del gatto, se vogliamo entrare nella casa nel bosco e nel mondo del paziente.
E lì sarà dura, perché varcheremo la soglia.
Entrare nell’inconscio di qualcuno vuol dire attraversare quel cancello iniziatico dove passano solo galline nere e gatti rachitici, e non sappiamo cosa ci attende. Non abbiamo idea di chi mai ci sarà, in quel benedetto letto della nonna ammalata.
La Magnolia non ha paura di niente.
La Magnolia è forte, salda, MA MAI FREDDA. Non è distaccata, anzi, eppure sa come darsi da fare nelle mangrovie delle paure profonde.
La corteccia dei suoi rami e l’estratto dei boccioli smorzano non solo l’ansia, ma sono addirittura in grado di migliorare i deficit cognitivi e le piccole perdite di memoria causati dalla tensione cronica.
L’estratto di Magnolia è un rimedio meraviglioso per i mal di pancia dei bambini piccoli dovuti alle tensioni emotive; in effetti, non solo per loro: è un rimedio straordinario per tutti i passaggi di crescita, di ogni età.
La Magnolia è un rimedio indispensabile per chi ha interiorizzato una voce paterna talmente severa che, a causa della paura di sbagliare, di combinare pasticci o di sporcare la tovaglia, è DA ANNI che “mangia tremando”.
Visitare un giardino pieno di magnolie fiorite è una meditazione taumaturgica.
Bisognerebbe portare lì i pazienti maniacodepressivi, quelli che soffrono di attacchi di panico, quelli stressati, insonni, anoressici, bulimici, con l’ansia da prestazione, tutti quelli che non si sentono mai in grado di affrontare le prove, gli esami, quelli che si sentono sempre piccoli in un mondo di adulti senza cuore.
I troppo esposti.
Bisognerebbe accompagnare lì tutte queste persone scalfite, scalfite forte, sì, può darsi, ma mai rovinate. Stare lì con loro senza spiegare nulla, portarcele ogni benedetto giorno di primavera finché le magnolie saranno in fiore.
E aspettare.
E poi brindare ad ogni singola tensione, nostra, loro, di chiunque, che, piano piano, inizierà dolcemente e inesorabilmente a sciogliersi.
Oggi buoni Sportellini Magici,
cari Amici Erbonarranti,
buoni cunicoli, passaggi e botole.
Senza indugi e con verde fiducia
verso ogni prova del nostro Viaggio.