Storie di Orchi, di Anelli troppo stretti e di Cumino a Camionate

Storie di Orchi, di Anelli troppo stretti e di Cumino a Camionate

Vagabondare nella lettura di antiche fiabe e leggende è, per me, come ficcare il naso nei Mercatini delle Pulci della domenica mattina.

Sfogliando e sfogliando, me ne sto lì finché non sento il corpo che si anchilosa: leggiucchio, scartabello, mi perdo e mi dondolo nelle suggestioni nostalgiche di altri tempi, di altri linguaggi, di altri luoghi.

Non di rado poi, di colpo, mi trovo a sussultare di pura meraviglia.

La fiaba di origine spagnola intitolata “L’anello che diceva: Sono qui” è riuscita a farmi questo effetto.

Ohhh!!

Questa storia asturiana (nella foto: Constantino Cabal, Los cuentos tradicionales asturianos, Voluntad, Madrid, 1900) narra di una ragazza che va a cercare legna da ardere nel bosco. Ad un certo punto si perde e -ovviamente- trova una casupola. È quasi sera, così bussa per chiedere riparo, indicazioni e ospitalità, ma le apre un Orco con un solo occhio in mezzo alla fronte.

L’Orco la chiude in casa e le ordina di preparargli da mangiare, o verrà mangiata lei stessa. Le comanda di portargli la cena a letto e di mettersi ai suoi servizi. La ragazza lo asseconda, poi attende che lui si addormenti per bruciargli quell’unico occhio con un attizzatoio e sgattaiolare fuori dalla casa, non appena l’Orco apre la porta per far uscire le pecore.

Ma lui si accorge della fuga di lei e cambia tattica.

Va fuori in giardino e, con una voce pentita e melliflua, inizia a farle mille complimenti e a corteggiarla. Lei si ferma, è dubbiosa, ma lui riesce a convincerla, finendo per darle in dono un anello.

La ragazza accetta, non sapendo che quello è un ANELLO MAGICO: è l’anello del controllo. Ogni volta che lei si muove, quell’anello grida: “Sono qui! Sono qui!”.

Prova a toglierselo in tutti i modi, ma non ce la fa, non scivola. È incastrato, incollato!

Così la ragazza si taglia il dito e lo getta in mare con tutto l’anello. L’Orco segue il richiamo del “Sono qui”, si tuffa e annega.

La ragazza prende in carico le pecore e, a poco a poco, diventa ricca.

Sebbene il motivo del Polifemo accecato possa essere ritrovato in tutto il mondo antico, dalla Finlandia al Cile, dal Caucaso al Vietnam e non solamente nell’Odissea, non è così comune che l’Eroina sia una donna.

E forse è proprio per questo motivo che la fiaba sprigiona tale potenza.

Uscire dalle relazioni tossiche, quelle in cui cadiamo quando ci siamo perse nella foresta, nella selva oscura della psiche e dei nostri meccanismi inconsci autodistruttivi, in cerca di fuoco, di passione, di calore, quando la nostra condizione era di assoluto bisogno e non ci aveva permesso di valutare con cura la distanza da casa, dal centro del nostro io e ormai è quasi buio pesto, è una tematica fissa, come quella del gigante con un occhio solo: altrettanto universale , senza tempo né spazio.

Nei paesini di campagna, in un passato neppure così arcaico, le relazioni venivano sugellate presto. Ci si sposava o ci fidanzava da giovanissimi, gli anelli del controllo si materializzavano sulle dita alla velocità della luce. E se non ti adattavi e, ad un certo punto, volevi andartene, dovevi davvero tagliarti un dito, perdendo una parte sacra di te stessa: la reputazione.

Convinte di valere niente, incoraggiate da genitori poco abbienti a sistemarsi in fretta per non pesare in casa, era facile cadere nelle trappole delle lusinghe di certi Orchi Monocoli e rimanere imprigionate.

I tempi sono cambiati? Per il nostro mondo interiore, i processi non sono così rapidi come la modernità ci vuol far credere.

Dammi la password del tuo cellulare. Dobbiamo dirci tutto, non devono esserci segreti tra di noi. Che motivo hai di vedere altra gente? Non ti basto io? Dove vai vestita così?

Mi hai detto che andavi solo da tua zia, a che serve metterti i sandali?

Perché vuoi giocare a tennis? Hai già conosciuto l’istruttore? Com’è?

Queste domande da Orco non devono smettere, nei secoli, di risuonare in noi come la chiave nella serratura, lì nella casupola nel Bosco degli Orrori.

Dove il segnale non prende e gli altri, giù al villaggio, smetteranno ben presto di domandarsi che fine abbiamo fatto.

Un tempo era il CUMINO l’erba utilizzata per evitare che il bestiame scappasse dalle stalle, i polli dalle aie e la propria donna da casa.

Cuminum cyminum

In certi borghi, le nonne preparavano delle enormi pagnotte ai semi di cumino come buon auspicio alle nozze della nipote, affinché il fidanzato non se ne andasse, lasciandole con un pugno di mosche.

In ogni caso, il Cumino fu per un certo tempo un simbolo del legame di coppia vincolante.

In spagyria, non a caso, la sua segnatura è GIOVE VENERE nei segni Cancro e Sagittario: il contrasto tra l’amore libertino e la coppia rinsaldata, nei veri principi del sentimento alto.

Il bisogno di attaccamento cancerino dovrà fare tutto il percorso verso la consapevolezza, integrando la certezza di quanto erotismo possa esserci nel divenire testimoni e complici della libertà individuale dell’amato.

E della propria.

Percorso impegnativo.

L’impiego classico del Cumino come pianta medicinale, insieme a quello di altre essenze ombrellifere come l’Anice e il Finocchio, si basava sulla sua azione digestiva ed eupeptica.

Il Cumino era un po’ più speciale delle altre essenze, grazie alla sua nota non solo fresca ma anche leggermente piccante: si utilizzava infatti nel macinapepe nei periodi in cui il pepe costava decisamente troppo.

Vista la sua azione antifermentativa, antiparassitaria e antifungina, il Cumino riusciva a prevenire e ridurre i sintomi di candidosi e altri problemi intimi che potessero essere d’ostacolo all’eros della coppia.

Lo ritroviamo descritto nel romanzo La maga delle Spezie:

“Neroblu e luccicante come le foreste del Sundarban dove è stato trovato per la prima volta, cumino a forma di lacrima, dal profumo di tigre, aspro e selvaggio, per sovrastare ciò che il fato ha scritto”.

Il suo olio essenziale, insieme a quello di Zenzero e di Menta, è efficacissimo nel combattere le nausee e le pesantezze di stomaco.

In erboristeria alchemica, il Cumino è stato associato all’elemento Acqua. Giove, Venere e Cancro ne portano tanta: l’Orco della fiaba “morirà” inseguendo l’anello laggiù, negli oscuri abissi marini.

Simbolicamente, la fiaba ci racconta che, in un certo senso, la parte brutale della relazione dovrà immergersi nelle profondità emozionali al fine di apprendere l’aspetto empatico, di ascolto, di recupero del sentimento, di cui l’Acqua è emblema.

In un linguaggio taoista, il Fuoco del seme di Cumino ci insegnerà la Canzone dell’Acqua, raccontandoci di come diventare vapore, pioggia, neve, del cambiare mille forme non perdendo mai noi stessi.

Andare oltre, dice quel Sagittario finale della segnatura, spingersi al di là del livello barbaro comune del mi piaci/ ho bisogno/ mi servi/ mi trattava bene quindi io/ gli ho creduto perché lui/ faceva sul serio con me infatti guarda l’anello.

La premessa a questo tipo di unioni troppo basiche è, ci raccontavano bene le fiabe fin dall’antichità, terribile, oltre che talmente diffusa da passare per normalità.

All’inizio della narrazione, la ragazza protagonista ci viene presentata sola, senza sostegno di amici e familiari: l’incipit non racconta altro, se non che sta vagando alla ricerca di legna da ardere. Di eccitazione, di novità, di situazioni-limite.

E quante di noi possono capirla.

Perché a volte, forse, non sono quelle le storie da evitare.

Quelle più pericolose certamente e indiscutibilmente: tutte, sempre.

Ma altre relazioni, magari, sembrano messe lì apposta. Appuntamenti inevitabili, grovigli essenziali in cui cadere dentro, dritti a chiodo e con tutte le scarpe.

Esperienza che siamo chiamate a vivere, perché valgono insegnamenti tali che mille corsi di formazione teorici non riuscirebbero mai a darci.

Storie che sfregano parti di noi assopite, che portano una scintilla lì dove non sapevamo di avere combustibile a sufficienza, quelle che “Chi l’avrebbe mai detto che per amore della libertà si sarebbe tagliata un dito”.

Scappare da dinamiche a tagliola nascondendosi tra le pecore, per poi restare.

Ricascarci. Ubriacarsi di contraddizioni.

Ri-pentirsi, poi cercare i chiarimenti parlando fino all’alba.

Nel frattempo chiedersi cosa diavolo stiamo facendo.

Stiamo imparando a separare il denso dal sottile, ecco cosa: primo apprendistato dell’alchimista.

Per poi sperare di ritrovare noi stesse, di conoscerci forse per la prima volta, con una nuova ricchezza ereditata da ogni singolo passaggio. Magari portando l’altro -quando e solo se, finalmente!, il nostro giusto distacco sarà avvenuto- in un suo personale percorso di profondità emotiva, ché gli sgrassi via, e di brutto, la Parte Orco.

Lucidità, grande attenzione e presenza mentale, senza più quella zavorra di dipendenze affettive, fermentanti e indigeste.

Di Cumino, a volte, cari Amici ErboNarranti, servirebbero intere piantagioni.

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