Pestellare forte

Pestellare forte

Il MORTAIO, assieme al suo immancabile PESTELLO, è uno dei luoghi di trasformazione più affascinanti.

Il suo simbolo compare nelle leggende di tutto il mondo, dall’orientale Coniglio sulla luna con mortaio, al pestello di Shiva, ai rituali di streghe ed herbane.

Forse ancora più suggestivo del Forno-Athanor degli alchimisti, perché il Sacro Fuoco qui non viene dal legno che brucia: nel mortaio il calore dobbiamo mettercelo tutto quanto noi.

E ci metteremo fuoco e passione mentre siamo lì a cingerlo, ad abbracciarlo, a scuoterlo e pestarlo: quando lavoriamo al mortaio, si incontrano le energie di Marte e di Venere, del calice e della spada, affinché una nuova realtà venga concepita.

Quando pestiamo una miscela di spezie, di erbe aromatiche, o lavoriamo degli incensi, il nostro mortaio ci darà l’esatta misura della nostra INTENZIONE e della nostra forza di VOLONTA’.

E nell’apprendista-mortaista si muoveranno corde quali il RITMO, la pazienza, l’accogliere, il com-prendere e, infine, il LIBERARE.

Nella fiaba di Vassilissa, la Baba Jaga non poteva che spostarsi per la foresta -e per il mondo intero- proprio dentro il mortaio, usando il pestello come remo.

Grazie a questo suo bozzolo viaggiante, la Baba Jaga raccatta, conserva ciò che incontra nel suo cammino, usando il mortaio come tasca. Ma contemporaneamente scartando e ripulendo, grazie alla scopa che anche porta con sé.

Poi, una volta a casa, nello spazio misterico della sua solitudine, sull’altra faccia della luna, elaborerà con il pestello le impressioni, i tesori, i veleni, i viatici e tutto ciò che ha raccolto fuori dal suo spazio privato.

Il Mortaio dunque non è solo utero di incubazione, non solo coppa, ma anche STOMACO, organo anatomicamente perfetto per prendere e com-prendere il mondo esterno, per sminuzzarlo accuratamente grazie al fuoco dei nostri succhi gastrici.

In ebraico lo stomaco si chiama Qevah, “CAVA”, che vuole dire anche “tomba”: ritroviamo lo stesso concetto di FINE che è insito nella parola MORTAIO, il luogo dove la materia cambia stato e si trasforma, liberando l’essenza.

La CAVA è anche il PANIERE, quello che le donne usavano la mattina per andare al mercato. E, se giochiamo con una lettera, CABA sono le PAROLE.

Benedire o maledire ciò che il nostro stomaco sta per accogliere, è un gesto che interi popoli e culture si tramandano dalla notte dei tempi, molto prima della nascita delle religioni.

“Ho lo stomaco chiuso” è una frase che ha quasi sempre a che fare con PAROLE INDIGESTE e indigeribili.

E a quel punto come si fa?

Sono sempre le fiabe ad avere le risposte: ci insegnano che davanti a una porta chiusa, basta pronunciare le parole giuste e le formule magiche. Apriti sesamo.

Davanti al muro senza accesso alcuno, Frodo chiederà al mago: “Qual è la parola elfica per AMICI?”. Dite amici ed entrate.

E alla stessa maniera la ragazza inizianda, davanti al muro senza porte della casa della Baba Jaga, griderà:

“Isba, isba, volta la schiena al bosco e guardami!”.

E come per incanto, come per magia, la capanna sgangherata della vecchia inizierà a ruotare mostrandole la porta, si girerà su quelle spaventose zampe di gallina, il particolare residuo del mostro delle vecchie leggende, che divorava gli iniziati per introiettarli nel suo STOMACO, trasformarli e restituirli al mondo ben digeriti: la Baba Jaga era per questo detta “LA DIVORATRICE”.

Passaggi da una dimensione all’altra: ecco anche il potente simbolo del SONNO legato allo stomaco pieno, il sonno degli sciamani che viaggiano tra le misteriose dimensioni dell’esistenza.

Come Vassilissa, come Frodo, come Alice, e come tutti quanti noi.

Che Viaggi,

cari Amici ErboNarranti🌳🍃

Orsù, dunque, imbarchiamoci

sui nostri Mortai e

spingiamoci oltre

con i nostri Pestelli,

ma pure con la mano a paletta

che con tutta quell’energia che abbiamo

la viandanza andrà di certo a meraviglia!

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