Le Piante Togli-Unto delle Fiabe

Le Piante Togli-Unto delle Fiabe

Pulizie di Primavera, ode alle grandi pulizie di Primavera!

Ma ripulirsi da cosa, esattamente?

Forse non conosceremo tutti i termini scientifici e i tecnicismi vari, ma il bisogno è davvero impellente: la LUCE DI MARZO rivela e mostra, la linfa si risveglia, le pupille si allargano e il nostro BISOGNO DI PULITO diventa, giorno dopo giorno, sempre più impellente.

Sono tantissime le fiabe che descrivono quella insopportabile sensazione di UNTUOSITÀ: in genere questo sgradevole dettaglio compare quando l’eroe incappa in mostri, pericoli, acerrimi nemici, o quando è bloccato in situazioni stagnanti.

È bisunta, carica di sebo giallo ed enormi escrescenze la pelle di Trotona, la sgraziata figlia della matrigna, rivale della Principessa Fiorina ne L’Uccello Turchino.

Sono unte le labbra della Baba Jaga quando si ingozza di stufato, prima di mettere alla prova Vassilissa, la ragazza inizianda in cerca del fuoco, che però non si lascerà impressionare così facilmente.

Appiccicosa e malsana è la tana di Shelob, l’enorme Ragno Femmina dove Frodo viene condotto dal sordido inganno di Gollum: in quel luogo buio e fetido, più l’Hobbit si dimenerà, più non avrà scampo.

Untissimi sono i capelli dell’Orco nella fiaba del Cavaliere Cinque-Armi: la sua testa piena di grasso è una carta moschicida per tutti gli sforzi del protagonista, finché questi non si distaccherà dal piano razionale e non entrerà, a pieno, nel potere della sua anima.

I nostri chili in più, le nostre tossine, i nostri edemi linfatici, la nostra pesantezza, raccontano a gran voce tutte queste storie.

Frustrati e avviliti, ci ritroviamo davanti a un quadro che proprio non ci piace. Ci disgusta.

Con una massa grassa inutile per la nostra struttura, difficilissima da smaltire.

Con fegati dolenti, gambe gonfie e a chiazze. Pelle spenta.

Ma cos’è che ci ha condotti in questo colloso punto della foresta? In questa palude di Shrek?

E, soprattutto, cosa ci tiene ancora lì?

Le risposte possono essere tantissime.

L’esserci costruiti una corazza difensiva, se la sensazione è di essere continuamente attaccati, invasi, perennemente criticati, non padroni del nostro territorio.

Un bisogno profondo di essere visti, toccati, amati, riconosciuti, desiderati, mai più scansati. Non conto nulla, nessuno mi considera veramente, mi sfruttano e basta.

Un’anestesia del nostro sentire in seguito ad una forte delusione, in attesa passiva di qualcosa di meglio che forse non arriverà mai.

L’autosvalutazione estetica, l’autosvalutazione su tutti i fronti. Sono brutta, faccio schifo, sono stupida, sono sbagliata. Sono la peggio.

Una vitalità iniziale, di nascita, esuberante e dirompente, ma quasi subito poi tarpata, spenta con mille estintori punitivi e carichi di minaccia di abbandono psichico, solo perché eravamo troppo impegnativi e non così facilmente gestibili.

La paura dell’altro.

Il trauma dell’altro.

La tristezza per il nostro gemello astrale andato perduto: quando compriamo tutto doppio, che non si sa mai. Quando ci serviamo sempre la seconda porzione, che bisogna approfittare, che non si butta mai niente, si capisce.

Il sentirci pesci fuor d’acqua, in una vita che non è la nostra, o che lo è stata e ora non lo è più, e tratteniamo più liquidi possibili in attesa, incagliati nella secca del bagnasciuga, che la prossima onda buona ci riporti nel nostro vero habitat.

Il sentirci soli, senza nessuno che veda davvero di noi, senza nessuno su cui contare davvero, nessuno a cui delegheremmo nulla, nessuno di cui fidarsi. Ovvio allora che bisogna tenere le scorte da parte.

Quante storie, quante sfumature.

Altro che metodi universali e diete precompilate. Altro che regole e regolette, e giornali, e manuali, e diete uguali per tutti.

Altro che voler morbosamente ridurre la complessità dell’inconscio degli esseri umani perché altrimenti è troppo difficile.

Una pianta capace di dare però una PRIMA GRANDE SGRASSATA GENERALE A TUTTA QUESTA PASTOIA può essere la SAPONARIA.

Lo dice il nome stesso. Piena di flavonoidi e di saponine, è una grande sturalavandini: depurativa, detossinante, diaforetica; veniva perfino utilizzata, magari insieme alla Viola tricolor e all’erba Veronica, per i bronchi ostruiti da quei muchi collosi eterni, peggio dei secreti di Shelob.

La Saponaria porta la luce delle terre del Nord. Il freddo secco e limpido in cui naturalmente si sviluppa e prospera la rende ricca nella regione della radice, e i suoi fiori hanno quel colore delicato che sa proprio di pulito.

È però tossica a certi dosaggi: bisogna saperla maneggiare e consigliare con cautela (come tutto, del resto).

Un’altra grande aiutante delle pulizie di primavera potrebbe essere la Thuja occidentalis. Quando proprio non vogliamo lasciar andare nulla di ciò che abbiamo accumulato, quando sgombrare armadi e garage ci fa sentire nudi, spogli, tristi e poveri. Come se, di colpo, tradissimo i nostri ricordi e tutto ciò che siamo.

La Thuja è una fata madrina per chi non riesce a mettere ordine, nei pensieri, nelle emozioni, nei pasti, nella gestione del tempo. Ordinata e compatta, è la pianta Marie Kondo, che ricompatta, leviga, elimina. Non a caso funziona in modo eccellente come cheratolitico: risolve le verruche, questo disordine cutaneo in eccesso, questo proliferare senza senso.

Betulla, Salice, Edera, Ginepro, Ononide, Ortica, Pilosella, Parietaria…la lista di RIMEDI RIPULENTI in natura è, non a caso, sconfinata.

E poi… e poi, niente. Si va avanti.

Il Cavaliere Cinque-Armi resterà invischiato nei capelli dell’Orco il tempo necessario a riorganizzare le forze, prima di rinascere a se stesso.

Anche l’Orco, ad un certo punto, si stancherà di avere quello sconosciuto addosso. E via, lo libera.

Si libera.

Perché quell’UNTO PSICHICO che che ci tiene incollati e limitati da una vita, forse, è ormai stufo quanto lo siamo noi.

E tutto ciò che ci teneva invischiati in quella vecchia realtà, da qualche tempo, chissà, magari, inizia a suonare solo come una vecchia storia.

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