La Sirenetta e quel glorioso Saper Mollare

La Sirenetta e quel glorioso Saper Mollare

Non sempre tutto va come l’avevamo immaginato.

E non è vero che basta desiderarlo, che basta costruirlo con l’intento, che tutto è possibile, che volere è potere.

Anzi, questo motto, fin troppo spesso, rischia di condurre nel baratro uomini e nazioni.

Un tempo, erano tantissimi i miti e i racconti che ci insegnavano “come si molla”, prima che l’ostinazione per lo sciropposo lieto-fine-a-tutti-i-costi volesse rendere ogni aspetto del vivere edulcoratissimo, dal cibo sempre più dolce (pure quando dovrebbe essere salato), ai lucidalabbra, dal fluimucil alle insopportabili voci delle pubblicità.

L’epoca iperglicemica, così potremmo definirla.

Con tutti gli scompensi che seguono per aver perso l’affinità e la sacralità dei PRINCIPI AMARI, che madre natura ci offre e ci suggerisce di continuo, soprattutto in questa stagione. Le amare sostanze terapeutiche da autosomministrarsi spesso, compreso, a volte, il sublime concetto del “lasciar perdere”.

Ad insegnarcelo è una fiaba su tutte, “La Sirenetta”.

Ma non quella della Disney: quella vera, la prima. Quella che si intitolava “Le figlie dell’aria“.

La storia che narrava che il principe non volle mai sposare Ariel, perché a lui non piaceva, non gli interessava. Era lei quella innamorata, non lui.

Al principe piaceva un’altra, l’archetipo della Sposa Rivale.

La Sirenetta, quando se ne rende conto, si ritrova sola, muta, disperata.

In più, il patto con la Strega del Mare sta per scadere e il prezzo da pagare è -possiamo proprio dirlo- salatissimo: la sua vita.

Allora le sue sorelle sirene, angosciatissime, vanno a trattare con Ursula, che a sua volta porrà una nuova diabolica condizione: lascerà libera la Sirenetta se lei in cambio accoltellerà il principe, “quell’inutile umano”, nel sonno.

L’umano che l’ha umiliata, ferita, rifiutata, ignorata.

Che le ha inferto colpi su colpi all’ego, dopo tutto quello che lei aveva proiettato su di lui, dopo tutti i sacrifici che lei aveva fatto.

Ed è lì, lì, il bivio della Sirenetta e di tutti noi: la tentazione di fargliela pagare, come Medea a Giasone, e salvare onore e pelle. E squame, perché di colpo, gonfi di rabbia e di rancore come rospi, si diventa tutti viscidi come rettili.

Quello scegliere di non dimenticare i torti né i rifiuti subiti, e dichiarare guerra, come quasi sempre succede nel mondo degli uomini, da Menelao ai giorni nostri.

Oppure c’è un’altra possibilità, il salto della presa di coscienza. DOVE CI SI TRASFORMA.

La Sirenetta è al buio, con l’arma in mano, ferma al centro della stanza, mentre osserva il suo amato dormire beato con la sua sposa.

Lo osserva: lui è felice, abbandonato nella serenità.

La Sirenetta aspetta, e aspetta ancora. Si ascolta, ritorna centrata nel respiro, mentre la sua anima passa dall’invidia alla gelosia, dal dolore al niente.

E poi, il miracolo: di colpo, la leggerezza.

Perché, ad un tratto, qualcosa in lei semplicemente… molla.

La Sirenetta allora abbassa il braccio e non colpisce nessuno. Non per pietà, e neppure per rinuncia, ma soltanto perché in lei qualcosa, all’improvviso, è mutato.

Ecco che arriva una nuova luce dalla finestra, ormai è quasi l’alba e Ursula la reclama. Così la Sirenetta si tuffa in mare, nella stessa acqua salata delle sue lacrime, e lì si affida alle correnti emozionali con l’acqua che la invade dappertutto.

Ma mentre l’acqua entra, lei ormai sta diventando aria, sta attraversando la metamorfosi sublime: le Figlie dell’Aria, le stesse del titolo, perché era questa la morale che Handersen voleva sottolineare, la accolgono festanti in un nuovo lido sconosciuto, quello eterico.

La Sirenetta ha cambiato piano d’esistenza, ha compiuto il suo scatto evolutivo e la gioia la pervade perché perdendo, mollando il suo ostinato obiettivo, ha trovato molto di più, senza ossessionarsi oltre per ciò che, a tutta evidenza, non era previsto per lei. Senza più macerarsi nel suo senso di incompletezza, nel rimpianto a crocifisso di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.

Senza scivolare nella follia di dolore che prende invece tanti altri personaggi, da Orfeo all’archetipo di Edward Mani di Forbice, un altro che si sente a metà, ma che invece di trasformarsi sceglie di continuare solo a struggersi per ciò che non possiede, e di finire i suoi giorni in esilio, in quel vuoto castello in mezzo al nevischio.

Sono differenze sottili, sono mille sfumature quelle che ci circondano, ma sono particolari alchemici che ognuno di noi sarà sempre chiamato a cogliere, perché le situazioni, in fondo, si somigliano tutte.

Ma è come elaboriamo nel profondo ogni aspetto del vivere che, inutile dirlo, farà sempre la differenza, decidendo del nostro destino.

E, in tempi complicati come questi, forse anche delle sorti di tanti altri.

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