La fucina di Efesto e la resina di Pinus nigra

La fucina di Efesto e la resina di Pinus nigra

Ognuno di noi dovrebbe avere una fucina alchemica, come quella di Efesto, il dio Vulcano, il dio fabbro, il dio creativo.

Perché sacro è in ognuno di noi il bisogno di costruire, di inventare, di esprimere ciò che ci attraversa, la nostra volontà e la nostra fantasia, almeno una volta al giorno.

Dovrebbe essere uno spazio privato, con un ordine proprio, accessibile a pochi.

Con un camino, o una brace, o una fiamma qualsiasi; basterebbe una candela.

L’elemento FUOCO nel lavoro di Efesto era fondamentale per forgiare: non solo i metalli, qualsiasi cosa. In noi è ciò che simbolicamente tiene accesa la nostra vitalità, il nostro metabolismo, la nostra scintilla.

L’albero sacro al dio era il PINO NERO, che tra tutti i pini è forse quello meno slanciato, e sicuramente il più infiammabile, il più resinoso.
Le fiaccole di Pinus nigra venivano chiamate “peuké“, letteralmente “fuoco resinoso“, da cui la nostra parola “pece“.

La resina di Pinus nigra è l’elemento che porta calore nel freddo della pineta, e che scalda i nostri bronchi quando si sono “infiammati” per una debolezza all’aria fredda.

Come le fiaccole portano luce nel buio, così Efesto deve lavorare nel suo antro sotterraneo, come una radice indisturbata.

Eppure Efesto non fu sempre solo.
In origine aveva come soci-alleati dei Nani misteriosi, i Cabiri, protagonisti assoluti nei culti di Samotracia.
Queste processioni misteriche si svolgevano nella segretezza più assoluta, e tutto ciò che veniva svelato all’iniziato non veniva mai scritto, solo comunicato a voce: abbiamo quindi perso quasi ogni riferimento a questi culti pre-indoeuropei.

Ma ciò che sappiamo è che erano culti di morte e rinascita, di celebrazione di uno stile di vita che volgeva al termine e di una nuova identità che voleva rifiorire, purificata, immersa in altri livelli di coscienza.
I Cabiri erano 4: un padre e un figlio, una figura femminile, e un quarto elemento più di sfondo, che nella rappresentazione a volte moriva.
Chiunque poteva richiedere l’iniziazione, anche le donne, i ragazzi, gli assassini, i migliori, i peggiori.

Il mistero era anche e soprattutto una rappresentazione teatrale, altamente drammatizzata, che doveva un grande impatto emotivo sull’iniziato, non solo perché si imprimesse nella sua coscienza a livello psichico, ma affinché raggiungesse anche il livello astrale e lì si fissasse.

Con la cultura greca, i Cabiri vennero col tempo assorbiti nei Misteri Eleusini e quei 4 Nani divennero Demetra, Persefone, Ade ed Hermes, quest’ultimo per la sua natura ambivalente, viva e morta insieme.

Nei culti, il numero 4, in riferimento ai 4 elementi, era e rimase fondamentale.

Così era anche per gli Egizi: durante i processi di mummificazione, i 4 Vasi Canopi erano destinati a polmone, intestino, fegato, stomaco. Sui coperchi erano raffigurati tre animali (il dio babbuino, il dio sciacallo, il dio falco), e sul quarto un giovane uomo, una figura antropomorfa.

Il cuore non veniva toccato.

Dopo l’eviscerazione, il corpo veniva quindi sommerso di sale (natron); infine giungeva il momento dei balsami, delle resine, delle preghiere.

Dalla nascita alla morte, la presenza dell’elemento vegetale, dell’intreccio con il mondo di natura, era considerata sacra e irrinunciabile.

Anche nella nostra fucina alchemica la presenza Verde non dovrebbe mai mancare.
Perché dev’esserci uno spazio dove continuamente dobbiamo partorire idee, soluzioni, trasformazioni della nostra psiche, della nostra vita, ma anche in cui uccidere impietosamente tutto ciò che deve essere scartato, ingurgitarlo come Crono coi suoi figli, senza rimorsi, oppure inseguirlo, se continua a sfuggirci come Dafne con Apollo.

E diciamocelo: non si muovono in noi tutti questi contenuti, dalla notte dei tempi?

Non è forse nella gloriosa scena teatrale di noi stessi che ogni istante si celebra la più eccelsa delle Cosmogonie mai raccontate?

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