Setacci alchemici

Setacci alchemici

Dalle Bacchette Magiche al Tirso di Dioniso, dai lunghi capelli -sciolti durante le danze rituali- all’utilizzo del setaccio in cucina, il gesto dello “Scuotimento” era, nel mondo antico, intimamente collegato alle arti magiche femminili.

Thyrson tinassein: scuotere il tirso.

Se lo scuotimento è sicuramente un gesto che ridesta, alla base del movimento vi è però la stessa arte oscillatoria capace di cullare bambini, malati, soldati feriti, di tranquillizzarli fino a farli addormentare.

Questione di Ritmo: il dondolio è di fatti legato all’ipnosi, alle nenie, alle altalene e alle cantilene.

In particolare, un tempo era il SETACCIO DA CUCINA il mezzo d’elezione, quella specie di tamburo sciamanico, capace di mettere la donna in comunicazione con il soprannaturale. Il SETACCIO era l’oggetto di culto che permetteva la visione del mondo dei morti o comunque di esseri solitamente invisibili:

Nella notte del due novembre, guardando la luna attraverso un setaccio, con un lume vicino, si vedranno passare infiniti morti che vanno in processione, sempre i buoni avanti e i cattivi dietro”.

Presente in tutta l’area europea nella fiaba di magia, il SETACCIO è quasi sempre lo strumento che la protagonista deve acquisire per raggiungere la pienezza della propria identità.

Nella sua struttura interna, quelle linee incrociate, le stesse che ritroviamo nei telai, subito divengono metafora, filtro dell’esistenza.

I setacci più antichi impiegavano una pelle di porco bucata con forellini di diametro variabile a seconda del tipo di vaglio che si desiderava ottenere; solo in un tempo successivo si passò alla rete.

In ogni caso, nel setaccio sono presenti le fondamenta alchemiche volte a separare il denso dal sottile, l’alto dal basso.

È nel setaccio che vi è la sintesi profonda del trattenere e lasciare andare: che verbi potenti per la donna, che sempre circola e viaggia tra giorni di fertilità, di impregnazione e giorni dedicati al fluire.

La fiaba popolare (tutta al femminile) intitolata “L’Orca Pelosa“, ripresa da Italo Calvino con il titolo “La finta Nonna”, inizia proprio dall’ordine dato dalla madre alla figlia capricciosa:

“Va’ a casa della nonna a prendere il setaccio!”.

La figlia dovrà superare un fiume, una porta dentellata spaventosa, entrare in casa tramite una corda appesa alla finestra -dunque con moto ascensionale-, corda gettata dall’Orca che naturalmente ha già divorato l’antenata.

L’ennesima fiaba dove il contatto con il mondo soprannaturale è legato al mangiare e all’andirivieni della protagonista, non solo nello spazio, ma anche nel tempo, attraverso le generazioni di donne della sua stirpe.

Il tutto tramite questo misterioso simbolo del Setaccio che, nel femminile, in qualche modo unisce la dimensione pratica a quella magicotrasformativa.

Ode dunque al potere tellurico scatenato dal confronto con le dimensioni oscure e misteriose, messe lì apposta -possiamo starne certi- per farci morire e rinascere, in una danza sublime, sul palco di questo regno esistenziale.

E noi donne lì a metà, tra eterne ragazzine e impareggiabili fattucchiere del mondo.

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