La Dulcamara e il Senso di Meraviglia

La Dulcamara e il Senso di Meraviglia

La Dulcamara è un capolavoro.

Certo, bisogna credere un po’ in lei.

Perché la Dulcamara, l’Erba Morella, senza fiori e senza frutti, sembra solo la pianta rampicante più confusa di tutte. Come se mille venti invisibili la sospingessero, da dentro, in altrettante direzioni di crescita.

La Dulcamara è esile, ingarbugliata, disordinata; assomiglia a quel blocchetto di appunti pieno di scarabocchi, numeri di telefono, frasi e citazioni di cui forse non ce ne faremo mai niente. Di pensieri a vanvera.

Ma chiunque di noi sia anche solo vagamente artistico e creativo, magari giusto un pochino, anche solo simpatizzante, sa bene quanto LA PARTE A VANVERA DELLA VITA sia fondamentale.

Perché, a dispetto dei cartamodelli già tracciati che il mondo vuole propinarci in comode rate, non tutto può essere raggiunto percorrendo la A13, oppure rette e semirette: questo ci insegna la Dulcamara.

Nella fiaba svedese “Ad est del Sole, Ad ovest della Luna”, il viaggio della protagonista si fa, ad un certo punto, così tortuoso e turbolento da far girare la testa.

La Principessa andrà su e giù in groppa ad un misterioso Orso bianco e poi via, da sola, su correnti d’aria che parlano, che si perdono anche loro; esplorerà tutta la Rosa dei Venti, finché non raggiungerà il Castello dell’Amato e, naturalmente, il centro di se stessa.

Il fatto è -così sembrano suggerirci le saghe, i poemi, le leggende- che l’Io, quello autentico, quel benedetto Te stesso dell’Oracolo di Delfi, quell’Io centrale, pare sia qualcosa di estremamente impegnativo da costruire. Nonché da mettere a fuoco.

All’inizio della fiaba, l’Orso Bianco si reca a casa di questa famigliola perché vuole prender moglie.

Non si presenta a mani vuote, ovviamente, ma offre una ghirlanda d’oro come dote, la stessa ghirlanda che la figlia più giovane aveva sognato poche notti prima. Inoltre, questo insolito e spaventoso pretendente promette lussi e ricchezze per tutti, così la paura dell’orso lascia presto il posto al calcolo del padre.

Ma sta di fatto che di figlie in quella famigliola ce ne sono tre, così l’Orso carica prima su di sé la sorella maggiore che, di diritto, ha la precedenza.

Mentre galoppano verso il nuovo castello, l’Orso le chiede:

“Dimmi, ti sei mai seduta su qualcosa di più morbido?”.

“Sì, le ginocchia di mia madre”.

“E dimmi ancora”, insiste l’Orso, “hai mai visto in modo più nitido?”.

“Sì, dalla torre di mio padre”.

“Allora non sei la sposa giusta”.

La scena si ripeterà uguale per la sorella di mezzo.

Poi, come in tutte le storie, arriva lei. La terzogenita, preveggente e sognatrice.

“Dimmi, ti sei mai seduta su qualcosa di più morbido?”.

“Mai. Non mi sono mai seduta così dolcemente”.

“E dimmi”, sonda ancora l’Orso, “hai mai visto più chiaramente di così?”.

“No, mai. Non ho mai visto più chiaramente”.

“Allora sei la sposa giusta”.

Oh, potenza della Narrazione!

Eccolo, il SENSO DI MERAVIGLIA che l’Orso Bianco sta cercando nel Femminile, la capacità di vedere il Mondo in modo sempre nuovo, con un animo pieno di fertile entusiasmo, ricco, intriso, fradicio, di quel sapersi emozionare.

Un animo appena abbozzato magari, incerto all’inizio, con mille errori ancora da compiere, ma con una vitalità intrinseca che consentirà di aprire nuove piste luminose, nuovi sentieri, e in grado di stimolare, a sua volta, le energie vitali del Maschile.

In una dinamo alchemica potentissima.

Dopo qualche tempo in cui tutto sembra andare bene, la Giovane Sposa, come nella favola di Eros e Psiche, sbaglierà, tradirà, si lascerà influenzare dai retaggi familiari, cedendo -per nostalgia, per solitudine, per malinconia, per via di tutti quei momenti in cui l’eccitazione del nuovo passa, lasciandoci un po’ spenti e svuotati- alla tentazione di prendere la CANDELA DI SUA MADRE e osservare, di notte, nel Regno Distorcente della Luna, il suo sposo e la sua intera vita.

Dunque non in modo obiettivo, ma attraverso gli occhi della famiglia d’origine.

Un passo indietro. Il passo falso necessario, come tutte le fiabe pretendono, al fine di perdere tutto, affrontare mille prove così da dare modo alla propria natura interiore di manifestarsi.

Di fare Anima.

La Dulcamara, come tutte le Solanacee, possiede questo principio oscuro e notturno: il viola cupo delle sue foglie in autunno e il violetto dei suoi fiori in estate ne sono la prova.

Fiori che guardano giù, nel profondo, nel mondo di sotto, come i ciclamini. Ma, a differenza di questi ultimi, i fiori di Dulcamara possiedono un pistillo così giallo da illuminare ogni cosa, una lanterna, una fiaccola quasi fluorescente, dritta, sparata, sicura, perché finalmente, dopo tanto girovagare su se stessa, la pianta sembra esultare per aver trovato la sua direzione.

La Dulcamara conosce il freddo, conosce l’umido, è da lì che viene. Conosce quel girare in tondo, gli scarabocchi, il tempo perso, il timore di esserci impantanati.

Ma sa anche dov’è la soluzione, come ritrovare il nostro Sole sotterraneo, il calore della nostra stessa spinta vitale che ormai, dopo aver conosciuto tanta vita, non ha bisogno di appoggiarsi più su nessun altro.

Una spinta che sa onorare le origini, che ad un certo punto ringrazia tutti gli aiutanti sparsi per la via, i buoni consigli, tutta la segnaletica stradale, i venti, i castelli ben arredati.

Ma che, alla fine, si ferma.

La Dulcamara, così come la nostra Forza Vitale, DECIDE di liberarsi della tristezza che la opprime e che a volte prende strane sembianze -come eczemi umidi, vesciche mucose, catarri catramosi, bronchiti croniche- e riaccende i motori interni.

La Dulcamara danza nello spazio, non capendo, all’inizio della sua esistenza, bene il perché. Ma onorando il suo destino, onorando il senso di necessità che la muove. Onorando tutto questo e INNAMORANDOSI, PERDUTAMENTE E IRRIMEDIABILMENTE DELL’ORSO BIANCO. Della parte misterica della sua stessa psiche.

Buoni giri e rigiri

senza sella e senza briglie,

cari Amici ErboNarranti,

e che Ghirigori Liberatori Siano

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