Gli Spiriti degli Alberi nei Passaggi di Crescita

Gli Spiriti degli Alberi nei Passaggi di Crescita

Atreiu è solo un ragazzo: cosa può egli contro il Nulla?

Quando precipita in mare, perderà il Fortunadrago, ma soprattutto perderà l’Auryn, simbolo dell’Imperatrice e del Regno di Fantàsia.

Perderà il suo amuleto protettivo, e il senso stesso della sua missione.

Emerso dalle acque, Atreiu si ritrova in un luogo desolato e oscuro, in una landa polverosa dove scorre una processione di Fantasmi, Incubini, Geliuri, Streghe con la barbetta caprina, ma anche fattucchiere giovani e bellissime: tutti sfilano in una danza lenta e macabra.

In mezzo alla nebbia fitta, Atreiu sente in lontananza dei rulli di tamburi che scandiscono l’avanzare di questo mesto corteo.

Il ragazzo è terrorizzato: comprende che quelle creature delle Tenebre stanno avanzando verso il Nulla, quel Nulla che li inghiotte, indifferente e bulimico. Lui stesso si ritrova ad esserne attratto: è solo la sua forza di volontà che lo farà indietreggiare e fuggire veloce, la stessa che lo aveva salvato nelle Paludi della Tristezza, quella trappola infera in cui aveva perso Artax, il suo cavallo.

Ma Atreiu di colpo reagisce allontanandosi svelto, opponendosi a quel richiamo fatale, e nel farlo si rende anche conto che la sua forza di volontà non arriva per caso. Egli possiede una spinta ribelle, generata da un ricordo, da una frase che Uyulala, la piccola gnoma lo aveva ospitato in casa sua rifocillandolo di zuppe e minestre calde per rimetterlo in forze, gli aveva sussurrato:

C’è una strada che permette agli uomini di raggiungerci, esiste una via per passare da un regno all’altro“.

Ma gli uomini avevano dimenticato quella strada: eppure, non poteva darsi che almeno uno, un unico figlio dell’uomo se ne ricordasse?

Dall’altra parte del libro, Bastian pronuncerà queste parole ad alta voce:

Verrei tanto volentieri ad aiutarvi, se soltanto sapessi come fare! Non so la strada, Atreiu, credimi, non la so proprio!“.

In momenti come questi, in cui le Storie, le Favole, i Miti diventano veri Capolavori, delle opere d’arte, si crea un collegamento reale, non solo immaginario: un ponte.

Tra noi e la nostra Psiche, tra la nostra Psiche e il mondo, tra il nostro mondo e altri mondi ancora.

Quelle sfere universali lassù, oltre l’atmosfera, suonano e risuonano su note diapasoniche dentro e fuori di noi, ed è in momenti come questi che ci accorgiamo che tutto è vivo.

Nel mondo delle Piante, gli Antichi Saggi scuotevano gli animi che rischiavano di precipitare nel Nulla con determinati odori e fumi, con la forza di certe resine capaci di creare questi ponti e di saldare i passaggi di coscienza.

Le lacrime viscose dei grandi alberi erano e sono piene di memorie, così dicevano i Sapienti: non è forse l’Ambra che ci ha permesso di andare indietro nel tempo, l’Ambra, antica custode luminosa dei ricordi del mondo?

Sono esistite culture, interi mondi, in cui il “malato” veniva condotto nel Tempio, dopo esser passato per vari trattamenti: alimentazione, esercizi fisici, digiuni, sonno guidato, unzioni, trattamenti di base.

Infine veniva condotto nello Spirito degli Alberi, all’interno della loro quintessenza, attraverso le fumigazioni.

Quelle che in genere erano riservate ai sacerdoti e alle sacerdotesse, agli oracoli.

Il malato veniva messo in contatto con il suo inconscio ed erano le resine e gli incensi che gli facevano da ponti e guide.

Il Dammar, che portava luce negli animi bui.

Il Ladano, che risvegliava i ricordi dimenticati.

La Copal bianca, colei che alleggeriva i pesi.

Storace e Sandalo, per sentirsi protetti.

La Mirra, per ritornare alla Terra, magari insieme all’essenza di Mandarino verde, affinché il viaggio di ritorno fosse anche giocoso e leggero.

Quanta potenza arriva, anche solo a scrivere questi i nomi, ad evocarne i profumi.

Molto abbiamo dimenticato, molto è andato perduto, come dice sospirando l’anziana Uyulala de La Storia Infinita.

Ma, cari Amici ErboNarranti,

non tutto, non del tutto.

Non ancora.

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