Cam-caminì, Fumaria!

Cam-caminì, Fumaria!

Sono tantissime le fiabe, i miti e i racconti popolari, in cui il VISO dell’eroe o dell’eroina, ad un certo punto della sua avventura, si sporca tutto di FUMO, di FULIGGINE. In cui diventa nero.

Dalla Principessa Fiorina a Pelle d’Asino, da Dognipelo ai cuccioli de La carica dei 101, da Efesto alla Befana, alla Fanciulla senza Mani, quella del viso sporco sempre ci indica, nella narrazione, un work in progress, una fase alchemica fondamentale.

Di trasformazione, di cottura.

Se abbiamo il viso così mal ridotto, di solito, è perché siamo per strada, spesso in fuga, o soli, abbandonati, come Oliver Twist, come i Bambini Sperduti, come Mowgli.

Se il viso è sporco e nero, forse stiamo attraversando una via stretta, una via che conduce da uno stato dell’essere ad un altro.

All’approdo a Itaca, anche il volto di Ulisse è irriconoscibile: dopo vent’anni di doglie e di prodromo, l’eroe sta per incanalarsi attraverso l’ultimo passaggio, quello più stretto, quello dei dodici scudi, prima di giungere a Penelope e al centro del suo Io.

Curioso il fatto che durante la nascita, durante la nostra venuta al mondo, il viso ci si tinga invece di BIANCO, per via del nostro corredo uterino fatto di umori e di liquido amniotico, con quel suo pastoso residuo color latte.

Prove su prove, ecco ciò a cui siamo costantemente chiamati, fin dai nostri primi momenti, e di cui spesso ci stupiamo: “Come? Ancora? Ma tutte a me? ma non si può mai stare sereni, neppure un attimo, una dietro l’altra?”.

Conosciamo bene le nostre litanie quando lo sconforto e la stanchezza prendono il sopravvento.

Eppure, in quei sacri passaggi, nei salti da un piano di coscienza ad un altro, da un orbitale di elettroni a quello successivo, non bisognerà mai aver paura di sporcarsi il viso e le mani: così ci insegnano le fiabe.

Altro che gel di Amuchina, qui ci si deve incatramare per bene. Solo così ci si potrà mettere in salvo.

Michael, Jane, Bert e Mary Poppins lo sanno.

“Michael, attento, non si sa mai cosa può accadere dentro a un caminetto!”.

La tata non fa in tempo a finire la frase, che i bambini vengono risucchiati verso l’Alto, dentro il buco, dentro il magico canale che mette in connessione Terra e Cielo.

La meraviglia che li aspetta lassù è immensa: un’infinita foresta di comignoli, di danze in cerchio, dove ognuno è libero da tutte le maschere sociali, in una festa che celebra la notte, compresi i propri bui interiori, perché no, che li onora, che si inchina davanti all’oscurità del cielo e della propria pelle, sporcata e sfinita dalle fatiche.

Ma siamo qui, siamo vivi, siamo insieme, in attesa dell’alba, nella cova di questo nuovo giorno, affinché il nostro vero io rinato si palesi e si manifesti in piena libertà e consapevolezza di sé.

Ecco cosa succede lassù, sui tetti del mondo, sull’acropoli di noi stessi, immersi nelle nostre lunghe avventure del vivere, non senza una nota di malinconia e di solitudine.

La cam-caminì spazzacamina che tinge di rosa i nostri campi da tutta l’estate è la FUMARIA officinalis, un vero sturalavandini del nostro fegato e un “signor” sapone di Marsiglia della nostra pelle: per lei, questi ultimi mesi così caldi e secchi sono stati l’ideale per prosperare.

La Fumaria porta via il nero in tutti i sensi: della malinconia, dei nostri complessi, delle nostre paranoie ma, soprattutto, delle nostre pesantezze.

Quando Bert e tutti gli Spazzacamini ridiscendono giù per il camino, invadendo il pian terreno, il piano della realtà ordinaria, con i loro scopini in spalla e tutta la loro assurda baraonda, andranno, uno ad uno, a stringere la mano al padrone di casa, Mister Banks, sconvolto e indignato come pochi.

Ma sua figlia Jane, la sua bambina intrisa ormai tanto di fuliggine quanto di saggezza -perché lei sì che è stata lassù, lei sì che ha visto cosa ci può essere nella magia del mondo- gli suggerirà la verità:

“Ora sarai la persona più fortunata del mondo, papà!”.

Allo stesso modo degli Spazzacamini, la Fumaria, magari unita alla Bardana, alla Viola tricolor, alla Senna, alla Rosa damascena, ci porterà davvero del buono, perché ci renderà più leggeri, a partire dal nostro fegato e dal nostro basso ventre dove, per forza di gravità, tutte le pesantezze si accumulano.

Dopo un lungo pianto a sconquasso, dopo certi viaggi duri che paiono non avere fine, questa piantina dei terreni incolti, che a sfregarla sa proprio di fuliggine e di fumo -a quello deve il suo nome-, pare sussurrarci: “Dai, adesso soffia il naso e va’ a lavarti il viso, vedrai che dopo si sta meglio”.

Lo dirà Rhett a Rossella O’Hara, che nei momenti peggiori non ha mai un fazzoletto: perfino lei, l’affascinante sirena dagli occhi verdi, durante quella promessa solenne col pugno al cielo, era col viso tutto sporco di nero.

La natura e l’alchimia ci insegnano proprio questo: che il Nero esiste, che c’è eccome, e che la materia grezza è di sicuro tosta, greve, ma che è fatta per passare al bianco, è questo il suo destino.

E che il pianto esiste per innaffiare i processi di trasformazione, e che tutta la fatica ci attanaglia per divenire, alla fine della storia, solo un’immensa fierezza.

Quando, lavato via lo sporco, correremo e sorrideremo a favore di vento, per innalzare nel cielo terso i nostri aquiloni colorati.

E dunque

che tempo di Fumaria sia

e che sia sempre tempo

di Sfrenate e Inconsulte

Danze sui Tetti.

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