“IZBA, IZBA, VOLTA LA SCHIENA AL BOSCO E GUARDAMI!”

“IZBA, IZBA, VOLTA LA SCHIENA AL BOSCO E GUARDAMI!”

In una assoluta e perenne nostalgia del Selvaggio e del Selvatico, rieccoci qui.

Ora che è Autunno.

Ora che è Nebbia, ora che è Lana, ora che è Color di Zucca e Odor di Legna.

Mentre il mondo ordinario si ricompatta nella monotonia di uffici, scuole, televisori e solite tiritere, noi sì che sappiamo bene dove andare.

Noi che non vedevamo l’ora. Noi che aspettavamo che cambiassero le costellazioni, che i Castagni intonassero il loro canto, noi che scalpitavamo per rimetterci in fila sul frenetico binario 9 e tre quarti, con le nostre civette, le nostre sciarpe a righe e i nostri mantelli.

Per tutta l’Estate abbiamo danzato avanti e indietro, corteggiando quell’istmo magico, quel misterioso spazio liminale tra il Villaggio e la Foresta. Solo che, in quell’inquieto andare su e giù per il sentiero, non passeggiavamo mica a casaccio.

Stavamo disseminando la strada di sassolini bianchi, di mollichine di pane, di briciole segrete, invisibili pure agli uccelli, introvabili anche per le formiche.

PERCHÈ CERTI SEGNI SOLO CHI LI HA LASCIATI PUÒ RITROVARLI, come quello inciso da Gandalf sulla porta di Bilbo.

E ora che la terra è morbida, ora che piove e piove, è giunto il momento di ricalcare a ritroso le nostre impronte e tornare dalla Baba Jaga.

Al nostro Izba, izba!, le zampe di gallina si fermeranno di colpo e quella strana casa piena di scheletri ruoterà su se stessa, ancora ondeggiando.

Poi, con i suoi tempi, si fermerà e noi respireremo a fondo, sapendo già cosa ci diremo.

“Cosa vuoi?”.

“Nonna, sono venuta per il Fuoco…ho bisogno di Fuoco”.

“E cosa ti fa pensare che ti darò la fiamma?”.

“PERCHÈ CHIEDO”.

Assieme a Vassilissa, entreremo ancora una volta, di nuovo e sempre, nella sua e nostra dimensione, per convivere con tre paia di mani che volteggiano per aria e che, instancabili, spremono i semi di Papavero per farne olio, simbolo dell’abbondanza del regno sotterraneo e del mondo dell’inconscio.

Mentre la pula del grano brilla e si deposita, mentre Baba Jaga mangia lo stufato, insudiciandosi le labbra e raccontando di cavalieri alchemici, l’enorme stufa a legna che occupa quasi metà della casa andrà sempre a tutta birra.

Perché è lì che il Fuoco è contenuto, è lì che splende, assieme al ricordo delle ceneri degli antenati, ed è da quel cuore sempre acceso che la Strega illuminerà la nostra torcia, grazie alla forza di tutte le Babe Jaghe prima di lei.

È quella la luce, è quello lo scialle, quel fuoco non solo fuoco, quel legame con le madri, con le nonne, con le bamboline saltellanti nascoste nelle tasche. Il sacro filo mestruale ci lega: utero dopo utero, casa dopo casa, vita dopo vita.

Come la micorriza unisce le radici, noi oggi percepiamo e onoriamo questo contatto profondo con il Vivente attraverso le Storie, il Narrare, i Simboli e i Racconti pieni di Piante.

IL FUOCO FA STORIE, E LE STORIE FANNO FUOCO.

In questo modo, noi no, noi mai, temeremo freddo alcuno.

Buon tepore,

cari Amici ErboNarranti, e che fiabesco Autunno sia.

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