Ago, filo e verdi trame
Prendersi cura di ciò che si ama: sembra questo il messaggio, semplice ma sublime, della fiaba intitolata I Sei Cigni, o I Dodici Cigni Selvatici.
Una storia straordinaria che ci insegna come ricostruire PIAN PIANO la nostra vita, come mettere insieme le idee, che ci mostra come si fa a rimanere concentrati e non farci distrarre dalle paure, a zittire quel cronico timore di NON FARE IN TEMPO.
La Sorellina, l’eroina protagonista di questa fiaba piena di delicatezza, di silenzio sacro, di battiti d’ali, se vorrà riportare i suoi numerosi fratelli nella loro forma umana annullando il sortilegio della Strega-Matrigna che li ha trasformati in cigni, dovrà imparare a CUCIRE.
Nelle storie cucire è un gesto ricorrente.
Non si tratta del FILARE, come in Tremotino o in Fata Piumetta.
E neppure del TESSERE, come per Penelope e per Morgana de Le terre di Avalon.
Non siamo esattamente nella dimensione delle Norne o delle Parche, anche se ci troviamo in quei pressi.
È proprio il cucire, nello specifico cucire CAMICIE DI CARDO –o d’ortica, a seconda delle versioni- la prova iniziatica della Sorellina.
Cucire nonostante il dolore, nonostante lo “strappo” dai suoi amati fratelli.
Anche Wendy dovrà farlo: in quella assurda notte londinese, si ritroverà a muovere AGO E FILO DA SOPRA A SOTTO, DA SOTTO A SOPRA per ricucire l’OMBRA AI PIEDI DI PETER PAN.
Proprio quella sera in cui il padre vuole separarla dai fratelli più piccoli.
Cucire per tenere intimamente vicini coloro che ci mancano: non è quello che hanno fatto, nella storia, milioni di donne, di giovani sposine, di sorelle e di madri preoccupate, durante le chiamate alle armi e gli addii degli uomini di casa?
L’unico gesto di autoconsolazione possibile: cucire, cucire e ancora cucire.
Lo faceva continuamente Melania di Via col Vento o l’incrollabile Margaret Curtis March, la madre protagonista delle Piccole Donne.
E le nostre nonne?
La mia cuciva tantissimo, soprattutto abiti da battesimo, interamente a mano.
Vesti bianche iniziatiche, proprio come le camicine dei Dodici Cigni.
La mia bisnonna, sua madre, anche lei cuciva di tutto ma, in particolare, aveva una vera e propria fissazione per i bavaglini.
Ogni venerdì, alle prime luci dell’alba, estate e inverno che fosse, partiva per la sua spedizione: arrivava alla sua bancarella di fiducia al mercato e acquistava enormi pacchi di stoffe, montagne di scampoli e di spugne.
Poi si affrettava a tornare a casa e, di tutto quel tessuto, ne faceva BAVETTE PER NEONATI.
Avevo soli dieci anni quando, insieme a tutti gli altri cugini e nipoti, di quei bavaglini iniziai ad ereditarne bauli colmi, una vera e propria DOTE, in una quantità talmente surreale da bastare non solo per i miei figli, ma anche per i figli dei miei figli.
“Nonna, ma se per esempio non volessi mai né sposarmi né diventare mamma?”.
Lei si fermava, ma solo per un attimo, mi fissava attraverso quegli occhiali a fondo di bottiglia, mugugnava sillabe incomprensibili e, inesorabile, tornava a cucire.
Il senso della risposta era chiaro: che io avessi avuto figli per davvero non aveva alcuna importanza.
L’importante era altro: semplicemente il NON PERDERSI.
Non smarrirsi, non perdere mai il filo né la continuità, E GUARDARE SEMPRE AL FUTURO, SEMPRE AL DOMANI.
Cucire per i familiari: le donne lo hanno fatto per secoli, con l’intento, ben nascosto nel retro di ogni cucitura, di apportare gioia e prosperità.
Il cucito era anche un modo geniale per NON GUARDARE TROPPO I FIGLI.
O almeno guardarli, sì, ma non direttamente. OBLIQUAMENTE.
Esserci senza esserci.
Proprio come il Re-Padre della fiaba, che viveva addirittura in un castello “a parte”.
Ma una volta volati via i Cigni-Fratelli, come farà la Sorellina, tutta sola, come se la caverà?
Cucirà. Ricamerà. Metterà insieme e cucirà ancora. Si sposerà, diventerà regina, madre, e continuerà a cucire, finché non avrà liberato tutti i fratelli, tutto il suo POTENZIALE ANIMICO.
Un tempo, al fine di chiedere allo Spirito del Mondo aiuti, protezione, amore, armonia, fertilità, le donne ricamavano con filo rosso su stoffa bianca, incanalando pura energia uterina.
Costituiva un modo per legare incantesimi e preghiere attraverso i NODI, un incantesimo semplice per CONTENERE O ALLENTARE L’ENERGIA.
Nell’arte della LIGATURA si poteva annodare in una direzione o nell’altra, spesso per nove volte.
Scala di Strega, così veniva chiamata, e veniva utilizzata PER ATTRARRE o PER BANDIRE: spiriti, dimensioni astrali, malattie, sventure.
Un vero e proprio feticcio, una piccola OPERA ESOTERICA, piena sì di nodi, ma anche di perline, di corde, di capelli e, guarda un po’, spesso anche di PIUME.
Qualora queste fossero state di GALLINA NERA, la scala si sarebbe chiamata GHIRLANDA DI STREGA.
Nel frattempo, le donne pregavano e recitavano incantesimi a fior di labbra, come immerse in una sorta di rosario pagano.
E QUALI ERBE venivano utilizzate in questi incanti? Svariatissime.
Agrimonia, per superare le paura e “invertire” gli incantesimi.
Erba medica, per scongiurare la povertà e la fame.
Amaranto, per guarire i cuori spezzati.
Assafetida, per essere lasciati in pace.
Alloro, per allontanare la confusione.
Cardo mariano, la stessa erba protagonista de I Cigni Selvatici, per invocare forza e protezione, oltre che per la ROTTURA DEI MALEFICI.
Guarda un po’.
E lo si faceva maggiormente proprio in questa stagione, il TARDO AUTUNNO, un tempo in cui ci si raccoglie e, semplicemente, SI STA.
La stagione in cui, alla sera, ci si dondola volentieri davanti a una stufa accesa: sembra un tempo fatto apposta per richiamare alla memoria storie, erbe, tradizioni folkloriche, antiche antenate.
Perché è da lì che sempre arriva la spinta in avanti.
Pieni, come sempre, di Riflessioni Fiabesche,
di Verdi Aiuti di Madre Natura,
di scorte infinite di Speranze
e di Bavaglini di Spugna
Come non ci fosse un domani.